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79mila nuovi contratti o allarme disoccupazione? Dov’è la verità?

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12,7%. E’ questo il dato diffuso dall’Istat per quanto riguarda il tasso di disoccupazione, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto allo scorso gennaio. Ciò significa che nel secondo mese dell’anno, circa 23.000 persone si sono aggiunte a coloro i quali cercavano già in precedenza lavoro senza, ahimè, trovarlo.

Le variazioni mensili degli ultimi dodici mesi, quindi su base annua, recitano +67.000 disoccupati.

Per chi ama le percentuali, equivale a un +2,1%.

Preoccupante la dinamica del lavoro femminile che, alla voce “Differenze di Genere”, l’Istat evidenzia essere in deciso calo. Il tasso di disoccupazione aumenta rispetto al mese precedente di 0,3 punti percentuali raggiungendo il valore del 14,1%. Il dato è di 2,4 punti percentuali più alto rispetto a quello degli uomini. 

C’è da preoccuparsi o basta semplicemente smettere di gioire delle esternazioni politiche ottimistiche dei giorni scorsi?

Probabilmente non eravamo salvi (e quindi nulla c’era da festeggiare prima) e non siamo ad un nuovo allarme ora.

La sostanza è che il mercato del lavoro italiano continua ad essere un magma indistinto di occupati e disoccupati, che in estrema semplificazione possiamo dire si muovano in maniera impercettibile.

La situazione è pressoché statica nell’ultimo periodo.

Il mercato del lavoro è fermo, perché piuttosto ferma è ancora oggi la crescita dell’economia del Paese.

Inoltre, i trionfalismi dei giorni scorsi dovuti all’annuncio da parte del Ministro del Lavoro Poletti di 79.000 contratti a tempo indeterminato attivati nei primi due mesi dell’anno, rappresentano un eccesso di autocelebrazione, dettato forse da una euforica esigenza politica di legittimare celermente il Jobs Act, nell’assoluta trascuratezza di qualsiasi verifica cautelativa dei dati relativi al mercato del lavoro che da lì a pochi giorni sarebbero stati resi pubblici.

Si tenga presente come, tuttavia, i dati cui faceva riferimento il Ministro e quelli diffusi nella giornata di martedì non siano assolutamente confrontabili tra loro. Ne discende che nessuno dei due valida o smentisce l’altro.

Al bando dunque le scaramucce politiche e le beghe da bandiera issata dal vento della strumentalizzazione di numeri buoni solo per tentare di carpire il favore dell’opinione pubblica. O viceversa di ricorrere agli stessi per smentire ogni ottimistico proclama effettuato dall’avversa parte politica.

Largo, invece, a misure di politica economica che concretamente diano fiato ad una domanda di beni di consumo sempre asfittica. Che le imprese assumano deve esserne la logica conseguenza.

Se si fosse stati in grado di tagliare nei numeri e non nelle mere parole la spesa con una efficiente ed efficace spending review, si sarebbe potuto reinvestirne i risparmi per esempio con un piano di infrastrutture in grado di riavviare il motore del nostro sistema economico.   


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